Le rimesse verso i Paesi in via di sviluppo possono superare gli investimenti diretti esteri: secondo i dati della Banca mondiale, i soldi inviati “a casa” dai migranti raggiungeranno i 551 miliardi di dollari nel 2019, per scalare quota 574 miliardi nel 2020, lasciandosi alle spalle gli investimenti diretti esteri. E questo nonostante la crescita delle rimesse dei migranti sia in frenata: per l’anno in corso, la Banca mondiale stima un aumento del 4,7%, contro l’8,6% registrato nel 2018. Il passo rallenterà ancora nel 2020, quando la crescita si fermerà al 4,2%. Quest’anno, i primi cinque Paesi per rimesse in valore assoluto saranno India (82 miliardi di dollari), Cina (70), Messico (39), Filippine (35) ed Egitto (26). Il numero di persone che vivono fuori dal proprio Paese di origine è salito da 153 milioni del 1990 a 270 milioni nel 2018, secondo la Banca mondiale. Questo ha fatto lievitare il valore delle rimesse, che per la prima metà degli anni 90 era ancora inferiore al valore degli aiuti allo sviluppo. Dal sorpasso avvenuto attorno al 1995, la forbice non ha fatto che crescere e oggi le rimesse valgono all’incirca tre volte gli aiuti ufficiali. Anche questo è un aspetto della globalizzazione. Per diversi Paesi, il contributo rappresentato dalle rimesse dei migranti è linfa vitale: per Tonga, questi flussi di capitale valgono quasi il 40% del Pil, per Haiti il 34%, per Nepal, Tajikistan e Kyrgyzstan quasi il 30%. Le rimesse aiutano la bilancia dei pagamenti dei Paesi che le ricevono e quindi il loro merito di credito, abbassando i costi di rifinanziamento che devono sostenere i loro Governi, come pure le loro imprese e famiglie. Le rimesse degli emigrati non dipendono inoltre dalla congiuntura economica del Paese di origine .