Migrazioni, razzismo e diversità: una fotografia da Cava de’ Tirreni (SA)

di Renato de Filippis, membro dell’Associazione Eugenio Rossetto ONLUS

Un aspetto fondamentale del ‘problema migranti’, espressione che a giudizio di chi scrive va indubitabilmente fra virgolette, è la percezione che noi italiani ne abbiamo: un ‘problema’, infatti, non può essere (se non in rarissimi casi) considerato in senso assoluto, ma va sempre inserito nel suo contesto di riferimento, e valutato anche attraverso una serie di parametri estrinseci che hanno, in misura non contenuta, anche a che fare con moventi psicologici. Il filosofo statunitense Richard Rorty diceva che la cosa peggiore che possiamo fare a un bambino è spiegargli razionalmente che Babbo Natale non esiste: ciò, a meno di clamorose scoperte nelle foreste della Lapponia, è certamente vero, ma se noi ignoriamo la ‘percezione del fenomeno Babbo Natale’ nella mente di un infante di quattro anni, non possiamo che fargli torto nel proporgli, brutalmente, il nostro punto di vista – anche se questo fosse documentabile in modo scientifico, e dunque, si usano ancora una volta le virgolette, ‘vero’.

Tenere dunque conto della ‘percezione del fenomeno migratorio in Italia’ – e siamo arrivati al punto che ci interessa – è indispensabile presupposto a ogni discussione del ‘problema migranti’: esibire con supponenza brutali dati scientifici servirà a poco con chi ha la percezione (non ci occupiamo ora del fatto che sia vera o falsa) che lo ‘straniero’ gli stia ‘rubando il lavoro’, che gli affari criminali siano in mano a ‘bande di clandestini’, che sia un atto una ‘invasione’. Nell’affrontare un ‘problema’ così complesso, le strategie da adottare sono, a nostro parere, altre. Serve anzitutto fare chiarezza: su ciò che si sa in partenza, sulla terminologia, sugli attori in gioco. Solo in un secondo momento, dopo aver ascoltato cosa sa e cosa pensa l’altro, si può provare a dialogare, a presentare qualche numero, a proporre qualche approccio differente. Anche con qualche esempio ‘fuori dagli schemi’.

In un incontro di qualche anno fa che l’Associazione Rossetto ha tenuto nelle scuole medie, agli studenti è stato chiesto di disegnare a terra il profilo di un barcone, utilizzando il nastro adesivo e altri materiali facilmente reperibili: i ragazzi hanno così avuto percezione diretta di quanto e quale sia lo spazio a disposizione di ogni persona in viaggio nel Mediterraneo. Più di recente è stato compiuto un altro esperimento: si è chiesto ai ragazzi di contare il numero complessivo delle persone presenti ai nostri incontro (che spesso erano 80, o 100) e di calcolarne (non è immediato ma nemmeno difficile) il 7%, che rappresenta – generosamente – la percentuale di immigrati in Italia (dunque non di clandestini, di profughi, di africani arrivati su un barcone e simili, ma in generale di immigrati che, anche da anni e anche perfettamente inseriti nel tessuto del paese, vivono in Italia). Si è chiesto poi di individuare il numero corrispondente di studenti (4, 5, 6) e di farli aggiungere, dal di fuori, al gruppo che ci stava ascoltando, chiedendo a coloro che erano già presenti se si sentissero ‘invasi’. Si è poi provato a ripetere l’esperimento considerando il numero gli immigrati sbarcati sulle coste italiane nel 2018 rispetto alla popolazione italiana, e calcolando quanti nuovi studenti sarebbero dovuti entrare nella sala: ma non è stato possibile in alcun modo aggiungere uno 0,04% di studente al gruppo con cui stavamo discutendo.

Fra il Marzo e l’Aprile 2019, il metodo utilizzato dall’Associazione Rossetto per sensibilizzare gli studenti liceali sul ‘problema migranti’ è stato, quindi, il seguente. L’Associazione ha preventivamente distribuito nelle scuole interessate (i principali istituti secondari di Cava de’ Tirreni) un questionario di 12 domande, che voleva appunto conoscere il punto di partenza, la più volte nominata ‘percezione’ da parte degli studenti, campione per definizione interessantissimo, almeno a giudizio di chi scrive, per tastare il polso della società su tutti i grandi temi sociopolitici. Questa parte costituisce il momento informativo, il ‘far parlare l’altro’, che ci ha restituito dati molti interessanti, talora abbastanza vicini alla realtà, almeno quantitativa, dei fatti, talora da essa lontanissimi.

Quindi, i dati sono stati discussi con i ragazzi che avevano risposto in una serie di incontri nelle scuole, culminati poi nell’organizzazione dell’evento ‘Migrazioni, razzismo e diversità: perché abbiamo paura?’, tenutosi, sempre a Cava de’ Tirreni, il 31 Maggio dello stesso anno, con la partecipazione di importanti ospiti nazionali e internazionali. L’opera che l’Associazione Rossetto ha voluto svolgere non è stata soltanto al servizio di una corretta informazione e di sensibilizzazione su un tema così attuale, ma ha voluto anche proporre riflessioni più generali: sul modo in cui reagiamo di fronte a una notizia appresa in internet o in tv, sui sentimenti più profondi che ci spingono a credere, a diffidare, ad avere delle reazioni che appaiono in qualche caso istintive, ma forse tali non sono… perché è solo conoscendo (noi stessi, ciò che accade e ciò che proviamo) che possiamo formarci un retto giudizio su qualunque tema.

Il dettaglio delle risposte, che sono state poco meno di 400,  è disponibile a fondo pagina.


In questo approfondimento ci interessa anzitutto enucleare e raccogliere i dati più interessanti: rimandiamo all’esplicazione articolata per maggiori particolari.

È in prima battuta singolare individuare dove e quanto i ragazzi liceali, dati alla mano, abbiano una percezione poco corretta; anche quando la maggior parte del campione ha dato la risposta ‘giusta’, i numeri di alcune di quelle ‘sbagliate’ fanno pensare. Si veda ad esempio la domanda 1, su quale sia la percentuale di immigrati presente nel nostro paese in relazione all’intera popolazione italiana. Se la maggioranza del campione risponde correttamente ‘fra il 5 e il 6%’, quasi un terzo degli intervistati la colloca senza esitazioni fra un quarto e un terzo… salvo poi sentirsi spaesato quando gli si chiede se, fra i 100 partecipanti all’incontro, ne riconosce come immigrati 25 o 30. Discorso simile per quanto riguarda il numero degli sbarcati nel corso del 2018: un non trascurabile 10% ritiene che essi siano ‘oltre 500.000 mila’, il che sì, giustificherebbe forse la realtà dell’‘invasione’.

Il discorso si fa ancora più rischioso quando si chiede ai ragazzi l’origine geografica degli sbarcati: è un vero plebiscito per la Nigeria (le informazioni sui delitti delle mafie nigeriane, certamente presenti sul nostro paese, sono spesso segnalate dai telegiornali) e la Libia (il che testimonia una difficoltà a distinguere il notorio luogo di partenza dei migranti dalla loro provenienza iniziale).

Su tre problematiche i ragazzi dei licei di Cava dimostrano, senza mezzi termini, come la loro ‘percezione’ sia figlia dell’ansia e dell’urgenza che percepiscono dai maggiori mezzi di informazione. Se si chiede loro quale è il paese dove sono sbarcati più migranti nel 2018, oltre il 56% risponde che è proprio l’Italia (in realtà è stata la Spagna); il nostro paese sarebbe anche quello che accoglie (attenzione: in assoluto nel mondo!) il maggior numero di rifugiati (è in realtà la Turchia, ma una metà quasi esatta degli intervistati ha indicato invece ‘casa propria’); e gli stranieri giunti da noi, in ogni caso, sono certamente musulmani (lo dice addirittura il 75% del campione – venendo invece soprattutto dall’Europa dell’Est, sono in realtà cristiani).

Se si chiede invece agli studenti perché i migranti lascino il loro paese, accanto alla ‘classica’ (quanto tragicamente verissima) triade ‘guerra – fame – povertà’, si ha la sensazione che molti abbiano individuato l’esistenza della categoria dei ‘migranti economici’ – ma non sono in pochi a stupirsi quando chi scrive, che ha partecipato a tutti gli incontri, ‘confessa’ di essere stato anch’egli, in gioventù, un appartenente a tale categoria, e dunque un giovane del Sud Italia, di belle speranze, che è migrato in Germania per migliorare le proprie condizioni di vita. Purtuttavia, ci sono diversi intervistati che, talora con grande prudenza, altre urlando slogan politici, desirerebbero che tutti questi stranieri rimanessero ‘a casa loro’ (è possibile, al link sopra indicato, vedere nel dettaglio le risposte ‘negative’).

I risultati aggregati – e forse è questo il lascito più interessante del questionario, quello che più ci mostra le contraddizioni di un paese assai frammentato sul ‘problema’ – disegnano però una scollatura notevolissima fra la percezione personale e quella pubblica del ‘fenomeno migranti’. La stragrande maggioranza dei ragazzi, infatti, non manifesta ostilità né intolleranza alcuna nei confronti degli stranieri se li incontra nel proprio quotidiano o ci si relaziona singolarmente (e infatti moltissimi si dichiarano ‘indifferenti’, ma con la necessità di specificare che la loro è una indifferenza ‘positiva’, quella della normalità con cui si incontra un ‘pari’ al supermercato o in pizzeria); ma ritiene la situazione dell’immigrazione in Italia una ‘emergenza’ o un ‘problema’, sostenendo altresì l’idea di ‘aiutarli a casa loro’. Si ha quasi l’impressione che la contraddizione fra dimensione pubblica e privata sia dovuta alla disarmonia fra naturale e istintiva ‘apertura’ che molti ragazzi manifestano (per quanto alcuni lo facciano con uno spirito paternalistico, inconsapevolmente carico del ‘White men’s burden’ di Kipling), e il battage allarmistico di certa politica e di alcuni mezzi di informazione.

La fotografia che l’iniziativa dell’Associazione Rossetto offre agli interessati, per quanto costruita su un ristretto campione di base cittadina, può con buona approssimazione essere ritenuta emblematica di una situazione-tipo: quella di una città del Sud mediamente benestante, di provincia sufficientemente agiata, che non ha a che fare in maniera massiccia con il ‘fenomeno migranti’ (l’ultima domanda è dedicata al numero degli stranieri residenti a Cava de’ Tirreni, che sono poco più del 2% degli abitanti totali), ma comunque ne percepisce (o subisce?) quello che si chiama, con brutta espressione, l’‘impatto mediatico’. L’auspicio è che questi dati possano servire a illuminare non solo la ‘percezione del fenomeno’, ma anche alcune zone buie dei nostri istinti e delle nostre paure, che nei liceali si diffondono spesso in un genuino, incontrollato stadio ‘diretto’.